Elegante, provocatorio, rivoluzionario. A cento anni dalla sua nascita, il Museo dell’Ara Pacis di Roma ospita l’ampia retrospettiva HELMUT NEWTON. LEGACY, ideata per celebrare il fotografo (Berlino, 1920 – Los Angeles, 2004) e posticipata a causa della pandemia. Un viaggio nella sua avventurosa vita attraverso oltre 200 scatti, in parte inediti, riviste e documenti, per raccontare con un nuovo sguardo l’unicità e lo stile di un protagonista del Novecento che si descriveva con queste parole: «Il mio lavoro come fotografo ritrattista è quello di sedurre, divertire e intrattenere».
La mostra sarà aperta al pubblico dal 18 ottobre 2023 al 10 marzo 2024.
L’esposizione, curata da Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation, e da Denis Curti, direttore artistico de Le Stanze della Fotografia di Venezia, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Marsilio Arte, organizzata da Zètema Progetto Cultura e Marsilio Arte, in collaborazione con la Helmut Newton Foundation di Berlino. Con il sostegno di Rinascente. Fashion Partner: Vogue. Travel Partner: Ferrovie dello Stato Italiane. Media Partner: La Repubblica, Rai Cultura, Rai Pubblica Utilità. Radio ufficiale: Radio Monte Carlo. Il catalogo è pubblicato da Taschen.
Il fotografo, all’anagrafe Helmut Neustädter, cognome anglicizzato poi in Newton, nasce a Berlino nel 1920 da una benestante famiglia ebrea e già a 12 anni dimostra familiarità con la macchina fotografica tanto che a 16 lavora come apprendista dalla famosa fotografa di moda Yva, sperimentando i suoi primi autoritratti, inscenati con grande sicurezza. Nel 1938 è costretto a lasciare la Germania a causa delle persecuzioni antisemite e, dopo un passaggio a Trieste, s’imbarca verso l’Australia dove apre un piccolo studio di fotografia che segnerà l’inizio della sua carriera.
Il percorso espositivo ripercorre la vita, umana e professionale, di un uomo ricordato come l’autore di scatti che hanno fatto la storia della fotografia, apparsi nelle più importanti copertine di fashion magazine, arricchiti da un corpus di inediti che svela aspetti meno noti della sua opera. Sono circa 80 infatti le fotografie esposte per la prima volta in questa rassegna. A completare l’esposizione, le testimonianze prodotte dai materiali d’archivio come le stampe a contatto o le pubblicazioni speciali.
Sei capitoli cronologici raccontano l’evoluzione fotografica di Newton: dagli esordi degli anni Quaranta e Cinquanta in Australia fino agli ultimi anni di produzione, passando per gli anni Sessanta in Francia, gli anni Settanta negli Stati Uniti, gli Ottanta tra Monte Carlo e Los Angeles e i numerosi servizi in giro per il mondo degli anni Novanta.
Il visitatore avrà la possibilità di entrare nel cuore del processo creativo per scoprire i segreti di immagini divenute parte della nostra memoria visiva e collettiva, come la serie Big Nudes che diventerà il suo libro di maggior successo.
Il suo occhio ha rivoluzionato la fotografia di moda, come dimostrano gli scatti dedicati alle creazioni dello stilista André Courrèges, realizzati per la rivista britannica Queen nel 1964, e le collaborazioni con personalità del calibro di Yves Saint Laurent, Karl Lagerfeld, Thierry Mugler, Chanel e tanti altri. Il suo nome entrerà nel gotha dei fotografi quando nel 1961, su invito di Vogue Paris, si trasferisce con la moglie June nella capitale francese, dove perfezionerà il suo stile. Un focus specifico è dedicato proprio ai servizi di moda considerati all’epoca all’avanguardia, come quelli ispirati ai film di Alfred Hitchcock, Francois Truffaut e Federico Fellini: non solo scatti, ma vere e proprie storie che contengono dettagli intriganti. Tra una sezione e l’altra, sarà possibile scorgere l’intensa attività ritrattistica di Newton che ha immortalato volti celebri come Gianni Versace, Andy Warhol, Charlotte Rampling, Romy Schneider, Catherine Deneuve, Mick Jagger, Nastassja Kinski, David Bowie, Elizabeth Taylor, Arthur Miller, solo per citarne alcuni.
La mostra riserva ampio spazio all’esperienza professionale del fotografo nel nostro Paese e al suo proficuo rapporto con l’editoria italiana. Una collaborazione importante che gli ha consentito di catturare le affascinanti atmosfere di località come Montecatini, Firenze, Milano, Capri, Venezia e, naturalmente, Roma. Newton era di casa a Roma come raccontano otto scatti ambientati nella capitale, in prevalenza tratti dalla serie nota come Paparazzi. Questa sequenza fotografica, unita ad altre due immagini di moda, dimostra ancora una volta la sua capacità di creare atmosfere effimere e intense trasformando una foto in una visione.
In continuità con le esperienze fatte in occasione delle ultime mostre e rinnovando l’impegno della Sovrintendenza Capitolina per l'accessibilità, la mostra Helmut Newton. Legacy è progettata per essere fruibile dal più ampio pubblico possibile grazie alla collaborazione con Rai Pubblica Utilità e Rai Cultura, con il Dipartimento Politiche sociali e Salute – Direzione Servizi alla Persona di Roma Capitale e Cooperativa Segni d’Integrazione – Lazio e con Radici Società Cooperativa Sociale. Audiodescrizioni, video LIS e disegni tattili, disponibili in mostra e scaricabili online, saranno gli strumenti di accompagnamento al percorso nelle sue sezioni cronologiche, con approfondimenti tematici su alcune delle fotografie più rappresentative. Per tutto il periodo di apertura dell’esposizione è inoltre previsto un servizio di visite tattili e visite con interpreti LIS gratuite.
PERCORSO ESPOSITIVO
GLI INIZI. Nato a Berlino nel 1920 da una benestante famiglia ebrea, Helmut Neustädter si interessò presto alla fotografia. A dodici anni fotografò la Funkturm (Torre della radio) di Berlino, un motivo che riprenderà anche in seguito. Quattro anni dopo, cominciò a lavorare come apprendista presso la famosa fotografa di moda Yva, nel cui studio scatta i suoi primi autoritratti, inscenati con grande sicurezza. Nel 1938 fu costretto a lasciare la città a causa delle persecuzioni in Germania. Arrivò in treno a Trieste e da qui si imbarcò per Singapore, dove lavorò per un breve periodo come fotoreporter per lo Straits Times. Nel 1940 partì per l’Australia. Dopo la guerra, aprì un piccolo studio fotografico a Melbourne e conobbe la sua futura moglie, l’attrice June Brunell, che divenne sua assistente di camera oscura mentre continuava la sua carriera cinematografica.
La maggior parte dei ritratti e delle fotografie di moda e di matrimoni di quegli anni sono andate perdute. Il lavoro del fotografo, che aveva anglicizzato il suo nome in Helmut Newton, si iscriveva per lo più in una tipologia convenzionale, ma già si percepivano occasionali accenni a ciò che sarebbe accaduto in seguito. Nel 1956, tutto cambiò. Newton si recò in Europa con la moglie June e ottenne un contratto di un anno con Vogue UK a Londra; tuttavia, tornò presto a Melbourne, dove aprì uno studio insieme a un altro fotografo tedesco di origini ebraiche, Henry Talbot. Iniziò anche a collaborare con Vogue Australia. Il mondo della moda e Parigi lo catturarono, dando inizio a uno dei periodi formativi più importanti della sua carriera. Di questo capitolo della sua carriera fanno parte ritratti e fotografie di moda scattate nelle strade di Londra e di Rio, una specie di fotoromanzo sul confine franco-belga e un editoriale sulla moda maschile incorporato in una storia di James Bond.
ANNI SESSANTA. Nel 1961, su invito di Vogue Paris, Newton si trasferì a Parigi con la moglie June. Nella capitale mondiale della moda sviluppò il proprio stile e finì per diventare uno dei fotografi di moda più ricercati e innovativi dell’epoca. Oltre a Vogue Paris, nello stesso anno lavorò anche per Elle France, Vogue UK e per la rivista d’avanguardia inglese Queen. Queste riviste offrivano a Newton un modo per guadagnarsi da vivere e sviluppare le sue idee creative, ma erano anche il mezzo di diffusione ideale per le sue interpretazioni della moda contemporanea. Attraverso di esse, raggiunse un vastissimo pubblico molto prima che le sue fotografie cominciassero ad apparire in libri e mostre.
Nelle sue fotografie di moda, che si spingono ben oltre alla semplice presentazione visiva di un capo d’abbigliamento o di un accessorio, Newton incorpora continui riferimenti allo Zeitgeist del momento: dai film di Alfred Hitchcock, François Truffaut e Federico Fellini alla rivoluzione sessuale della fine del decennio. Le immagini di Newton suggeriscono storie e spesso contengono un elemento di intrigo. La serie sulla moda di Courrèges che creò per Queen nel 1964 segnò l’inizio di un nuovo capitolo della sua carriera, in cui elaborerà i suoi incarichi con l’audacia che gli è caratteristica. A metà degli anni Sessanta, Newton acquistò una casa vicino alla Costa Azzurra, che insieme alla vicina Saint-Tropez divenne lo sfondo di innumerevoli servizi di moda, di ritratti intimi di June e di autoritratti. Il suo interesse per la tematica del doppio (Doppelgänger), le immagini raddoppiate e l’accostamento tra manichini e modelle in carne e ossa emerge con evidenza nelle sue collaborazioni con diverse riviste a Venezia, Londra, Parigi, Milano, Roma, Montreal e Tunisi.
ANNI SETTANTA. Negli anni Settanta Newton si recava regolarmente negli Stati Uniti e scattava fotografie a New York, Miami, Las Vegas come a Berlino, Roma e Saint-Tropez. Dal 1971, tuttavia, dopo aver avuto un attacco di cuore durante un servizio fotografico a New York, il suo modo di lavorare cambiò. Da quel momento in poi, accettò solo incarichi che considerava sfide interessanti. Inoltre, iniziò a servirsi dei set, ma anche delle modelle e degli stylist set che gli venivano forniti, per realizzare una propria versione più audace delle fotografie di moda in programma. Nel 1976 molte di queste immagini inedite apparvero nel suo primo libro di fotografia, White Women. Nel 1978 fu pubblicato il suo secondo libro, Sleepless Nights, che raccoglieva fotografie già apparse su Vogue e Playboy. Entrambi i libri ebbero grande risonanza e furono ripubblicati per anni in varie edizioni internazionali.
Dal 1975 in poi, Newton cominciò a esporre le sue immagini in musei e gallerie. Continuò a scattare le fotografie di moda soprattutto per strada, in hotel o in appartamenti signorili oppure in ristoranti di lusso, a volte accostando manichini da vetrina e modelle in carne e ossa. Solo a un’osservazione più approfondita diventa chiaro cosa è reale e cosa invece è una ricostruzione di scene da lui osservate o immaginate. Newton trae ispirazione dalle fonti più disparate, come il Surrealismo, i racconti fantastici di E.T.A. Hoffmann e film che esplorano i temi del doppio e della metamorfosi, come Metropolis di Fritz Lang. Molte delle immagini create da Newton negli anni Settanta sono così emblematiche e intramontabili che ancora oggi vengono rivisitate e considerate riferimenti.
ANNI OTTANTA. Nel 1981, Helmut Newton sviluppò un’idea visiva rivoluzionaria per Vogue Italia e Vogue Paris: prima a Brescia e poi a Parigi, chiese alle modelle di spogliarsi dopo un servizio di moda, per poi fotografarle di nuovo nelle stesse pose, ma nude. Nell’autunno, la pubblicazione di queste fotografie sulle due riviste di moda suscitò un vero e proprio scandalo. Questi dittici, che segnarono per lui il passaggio dalla fotografia di moda a quella di nudo, furono chiamati Naked and Dressed. Allo stesso tempo, creò i suoi Big Nudes, destinati sia alle pagine delle riviste sia a stampe a grandezza naturale, cosa che nessun fotografo aveva mai fatto prima. Newton sondava continuamente i limiti della società e della morale, ridefinendoli in base alla sua visione. Queste immagini sono state raccolte nel terzo volume di Newton, Big Nudes, il suo libro di maggior successo sinora.
Alla fine del 1981, Helmut e June Newton si trasferirono a Monte Carlo. Da allora in poi, la coppia trascorse i primi mesi di ogni anno a Los Angeles, dove Newton realizzò molti ritratti di celebrità di Hollywood che frequentava come amici o conoscenti. Nel frattempo, continuava a scattare ritratti a June, che dal 1970 aveva intrapreso una carriera di successo come fotografa con lo pseudonimo di Alice Springs. Nel 1987, ispirandosi alle riviste illustrate della sua giovinezza berlinese, Newton fondò la sua rivista di grande formato, Helmut Newton’s Illustrated, della quale pubblicò quattro numeri a intervalli irregolari.
ANNI NOVANTA. Il lavoro di Newton negli anni Novanta è stato caratterizzato da fotografie di moda sempre fantasiose, molte delle quali scattate a Monte Carlo e dintorni, ma anche a Berlino, in particolare nel leggendario ristorante Exil, oppure all’aperto a Parigi o a Miami. Lavorava sempre più di rado per le riviste, mentre aumentavano gli incarichi conferiti direttamente dagli stilisti e da altri clienti come Chanel, Mugler, Yves Saint Laurent, Wolford, Swarovski e Lavazza, che spesso gli affidavano campagne pubblicitarie su larga scala. Ormai la fotografia di moda si era ampiamente emancipata dalle riviste, che sino ad allora erano state il contesto tradizionale della sua creazione e pubblicazione. Numerose mostre nei musei e un fiorente mercato dell’arte accompagnarono questo corteo trionfale, facilitato anche dal sempre maggiore riconoscimento dell’importanza culturale di questo ramo della fotografia.
Negli anni Novanta, Newton realizzò anche una serie di pubblicazioni personali, tra cui due numeri di Helmut Newton’s Illustrated e un libro dei suoi scatti con Polaroid realizzato con Schirmer/Mosel. Le istantanee continuavano a essere molto importanti per Newton, soprattutto come modo rapido per verificare un’idea o controllare una composizione durante un servizio fotografico. Inoltre, produsse una vasta antologia di facsimili delle sue opere pubblicate su riviste nel corso di cinquant’anni, Pages from the Glossies, e un libro scritto a quattro mani con June, Us and Them. Nel 1999 TASCHEN pubblicò SUMO, il libro d’arte di maggiori dimensioni mai edito. Newton ricevette inoltre diversi premi per il suo lavoro fotografico in Francia, Monaco e Germania.
ULTIMI ANNI. Nell’ultimo decennio della sua vita, Helmut Newton veniva ancora ingaggiato da riviste e stilisti perché traducesse in immagini la moda del suo tempo. Tanta longevità in un settore che solitamente è ossessionato dal nuovo è un fatto eccezionale, come del resto la freschezza spirituale e visiva di Newton. Guardando le fotografie dei suoi ultimi anni, tanto permeate dallo spirito dell’epoca, è difficile credere che siano state scattate da un ottuagenario. Nel 2000, in occasione dell’ottantesimo compleanno di Newton, la Neue Nationalgalerie di Berlino gli rese omaggio con una grande retrospettiva che è stata successivamente esposta in diverse città del mondo. Si trattava della prima mostra permanente di un fotografo mai allestita nel leggendario edificio di Ludwig Mies van der Rohe. Due anni dopo, l’autobiografia di Newton fu tradotta in dieci lingue e pubblicata da altrettante case editrici.
Due importanti pubblicazioni di Newton sono state realizzate in collaborazione con la sua galleria di Zurigo, De Pury & Luxembourg, in occasione delle mostre Sex and Landscapes e Yellow Press, che presentavano per la prima volta i paesaggi e le fotografie giornalistiche scattate negli ultimi anni. Molte delle fotografie che vi furono esposte, sia quelle realizzate per sé sia quelle per le riviste, sono incluse in quest’ultimo capitolo.
Si potrebbe dire che la selezione di immagini finale intreccia ancora una volta, nel modo unico tanto tipico di Newton, i generi principali del suo lavoro: moda, nudi e ritratti, rendendo così una potente testimonianza dell’eccezionalità e dell’autorevolezza della visione di questo fotografo.
Helmut Newton (Berlino, 1920 – West Hollywood, 2004) inizia la propria formazione all’età di 16 anni affiancando la famosa fotografa di moda Yva, ben presto lascia la città per sfuggire alle persecuzioni degli ebrei. Dopo alcuni viaggi durante i quali lavora come fotoreporter, nel 1945 apre a Melbourne un piccolo studio e successivamente inizia a collaborare con Vogue Australia, British Vogue e con Henry Talbot, un collega fotografo tedesco.
Nel 1961 si trasferisce a Parigi con la moglie June e afferma il suo stile grazie ai lavori per Vogue France, Elle France e Queen. Si mostra subito in grado di catturare lo spirito dei tempi, senza limitarsi alla rappresentazione dell’abbigliamento come accessorio e proponendo una fotografia dal taglio metafisico. Nel 1981 sviluppa un nuovo concetto visivo che desta scalpore per Vogue Italia e Vogue France: chiede alle modelle di spogliarsi dopo un servizio fotografico e le ritrae nella stessa identica posa, ma nude.
Negli anni ’90 Newton usa un approccio più all’avanguardia, lavorando sia per editoriali di moda che con stilisti come Chanel, Thierry Mugler, YSL che con altri clienti come Swarovski e Lavazza.
In occasione del suo ottantesimo compleanno, gli viene dedicata una retrospettiva alla Neue Nationalgalerie di Berlino. Nel 2004 muore a Los Angeles solo pochi mesi prima dell’apertura della sua Fondazione a Berlino, della quale diventa presidente la moglie June.
Nell’ambito della retrospettiva su Helmut Newton – organizzata dalla Fondazione HN a Berlino in occasione dei 100 anni dalla sua nascita e poi portata a Knokke, Vienna e Milano – alcune opere vengono presentate per la prima volta a Roma. Tra queste ci sono, per esempio, i primissimi autoritratti scattati nello studio di Yva a Berlino dove Newton lavorò per due anni come apprendista fotografo. Yva, leggendaria fotografa della Repubblica di Weimar, spaziava in tre campi: moda, ritratto e nudo. Tracce dell’apprendistato nel suo studio accompagnarono Newton nel lavoro successivo in cui si focalizzò sui medesimi soggetti. Lo stesso vale per June, divenuta sua moglie, incontrata a Melbourne dopo la fuga dalla Germania nel 1947 a causa delle leggi antisemite. Nata come attrice, fu ritratta spesso da Newton, come si vede anche nelle opere esposte in mostra. June inizia poi a lavorare da fotografa autodidatta a partire dal 1970, dopo che la coppia si trasferisce a Parigi. I due si fotografarono a vicenda più e più volte e in seguito pubblicarono questi ritratti in una pubblicazione congiunta.
A Parigi, proverbiale città della moda, Newton lavorò per numerose riviste di settore, specialmente per l’edizione francese di Vogue, dal 1961 in poi: un esempio di questa collaborazione è lo scatto del 1976 che ritrae una coppia elegante fotografata in un albergo di lusso, esposto tra quelli inediti scelti per la mostra di Roma.
Successivamente, nei primi anni Ottanta, i Newton si trasferirono a Montecarlo, trascorrendo i mesi invernali nel celebre albergo Chateau Marmont a Los Angeles. Ed è qui, in Costa Azzurra e a Hollywood, che Helmut Newton realizza numerosi ritratti, fotografie di moda e altre opere su commissione, per esempio per Lavazza, che possiamo ammirare per la prima volta a Roma.
Attraverso i suoi scatti è riuscito sempre a cogliere lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, a volte persino anticipandolo con le sue innovazioni. È forse proprio per questo che è stato ripetutamente ingaggiato, fino all’ultimo, dalle riviste più disparate per realizzare le sue versioni e visioni della moda contemporanea e per fotografare grandi personaggi dell’élite culturale internazionale. Questo aspetto della sua attività è visibile nella mostra, per esempio nel ritratto di David Hockney, fotografato per The New Yorker o per alcuni scatti di commiato, cupi e quasi malinconici, come Leaving Las Vegas. Si tratta di un’opera libera, un’istantanea, anche un po’ sfuocata, che Newton integrò comunque sotto forma di grande stampa in bianco e nero in uno dei suoi ultimi progetti, la mostra Sex and Landscapes.
Fino alla fine, continuò a sorprendere il suo pubblico. Lo fa ancora oggi, a quasi 20 anni dalla sua scomparsa, per cui si può dire che è del tutto legittimamente il fotografo più pubblicato e più discusso di tutti i tempi. E le mostre antologiche come questa di Roma tengono in vita il suo lavoro.
Matthias Harder
Curatore della mostra e direttore della Fondazione Helmut Newton
«Bisogna essere sempre all’altezza della propria cattiva reputazione». A pronunciare questa frase non è stato uno dei bad boys di Cry Baby, il film culto di John Waters. Sono, invece, parole di un altro cattivo ragazzo, il provocatore per eccellenza della fotografia mondiale: Helmut Newton. Quando mi sono avvicinato al suo lavoro non è stato senza pregiudizi, e sono caduto anch’io, lo ammetto, nel facile gioco degli stereotipi e delle approssimazioni per cui si tende a ridurre il tutto a una parte, in un’ostinata e irrefrenabile sineddoche: Henri Cartier-Bresson il re del momento decisivo, Elliott Erwitt e la sua irresistibile ironia, e così via. Quando però ho avuto la magnifica occasione di lavorare insieme a Matthias Harder, curatore e direttore della Helmut Newton Foundation di Berlino, per collaborare all’organizzazione di questa grande mostra a Palazzo Reale di Milano, ho capito che il fotografo tedesco non è stato semplicemente un provocatore, the King of Kink, com’era soprannominato.
Helmut Newton non era tanto o solo il maestro del nudo femminile. È stato soprattutto un genio capace di reinventare il linguaggio fotografico, osando qualcosa che nessuno aveva fatto prima nel mondo della fotografia commerciale.
Nato a Berlino nel 1920 da una famiglia dell’alta borghesia ebraica, Helmut Newton (pseudonimo di Helmut Neustädter) abbandona la Germania nazista nel 1938, quando è un giovane apprendista della fotografa di moda Yva. Fuggito in Cina, a Singapore e in Australia, vive una svolta decisiva nel 1961, quando si trasferisce a Parigi, dove collabora con le più importanti riviste di moda, come «Vogue» e «Harper’s Bazaar». A partire dagli anni Settanta si consacra come uno dei fotografi più richiesti e pagati del settore. Certo, non è il solo a innovare la fotografia commerciale: Martin Munkácsi, William Klein, Richard Avedon avevano già contribuito a riscrivere il vocabolario della fotografia moderna, costruendo un immaginario slegato dalla descrizione pedissequa dell’abito. Lo abbiamo visto, con loro le modelle lasciavano lo studio per immergersi nello spazio pubblico e quotidiano delle città; nel loro caso era questa inedita traslazione di luogo e contesto fisico a determinare l’effetto di novità dirompente.
Nel caso di Newton, le fotografie di moda escono anch’esse dagli studi fotografici, per essere però ambientate in case private, a bordo piscina e in contesti di lusso sfrenato. È con lui che per la prima volta la fotografia pubblicitaria e di moda abbandonano la dimensione puramente descrittiva, per passare a quella aspirazionale. In queste immagini, e qui sta la grande portata di innovazione, accade sempre qualcosa. Le modelle smettono di guardare in macchina e cominciano a recitare per il grande fotografo tedesco. Si tratta di situazioni che si rifanno all’iconografia noir e mettono in fila una serie di provocazioni e ammiccamenti erotici. Newton porta nella fotografia di moda una dimensione realistica, che ha a che fare con il quotidiano, pur contemplando una forte componente onirica: ambientazioni da sogno, corpi statuari, ricchezza ed eleganza. Nel 1976, per pubblicizzare un impermeabile Burberry trasparente, decide di fotografare una donna – nuda – con solo l’impermeabile addosso.
È chiaro, il suo lavoro si offre al fraintendimento. In occasione di un’altra rassegna dedicata, diversi anni fa, a Newton, Facebook aveva oscurato la pagina di riferimento perché la fotografia Tied up Torso (1984) non rispettava gli standard richiesti.
Ci sarebbe da interrogarsi su chi abbia deciso quali sono gli standard, ovvero quale sia la soglia della decenza; ho poi scoperto che – come si sa – la piattaforma di Zuckerberg ha censurato anche il dipinto ottocentesco L’origine du monde di Gustave Courbet, quindi, mi sembra controproducente chiedere proprio a Facebook di ergersi a censore della moralità, di individuare quale sia il limite tra cosa può essere mostrato e cosa no. D’altra parte, molto prima dei ban dei social network, le fotografie di Newton sono state al centro delle critiche del movimento femminista: l’accusa era quella di fare pornografia, di diffondere l’immagine di una «donna oggetto». Se prendiamo però un lavoro come i Big Nudes (1981), quella che ci viene restituita è l’immagine di donne imperiose, delle virago padrone del proprio corpo. Non è degradazione, ma rovesciamento delle regole dell’erotismo.
Pensiamo alla famosa fotografia di Charlotte Rampling, scattata in una camera d’hotel nel 1973. L’attrice, nuda, il profilo a tre quarti, ha in mano un bicchiere ed è seduta su un tavolo su cui sono poggiati un pacchetto di sigarette e la chiave della stanza. In quel periodo, Rampling stava girando Il portiere di notte, controversa pellicola di Liliana Cavani sull’incontro tra un’ebrea sopravvissuta ai lager e il suo aguzzino, un film che ha non solo spaccato in due la critica, ma è stato addirittura considerato «offensivo del comune sentimento del pudore» e sequestrato per ordine della Procura della Repubblica di Roma.
Qui Newton si fa voyeur e del resto, come sosterrà lui stesso, se un fotografo dice di non essere un guardone allora è un idiota. Il gioco della provocazione non rimane però fine a sé stesso: il fotografo dimostra un’ineguagliabile capacità di lettura dei tempi e, anticipando il fraintendimento che di lì a poco avrebbe travolto la pellicola, realizza una fotografia che sembra quasi un’emanazione diretta del film.
Il lavoro di Newton, in fondo, è sempre il risultato di una riconfigurazione dell’immaginario, un’operazione eseguita giocando con strumenti che non appartengono al mondo della fotografia commerciale ma sono caratterizzanti di precisi momenti storici. Ad esempio, negli anni Settanta, quando la Germania faceva i conti con il terrorismo della Rote Armee Fraktion, la polizia tedesca stampava i manifesti dei ricercati a grandezza naturale. Newton prende in prestito quel formato e lo applica alle sue fotografie di donne nude: così, Big Nudes è il risultato di una magnifica crasi. Allo stesso modo, la posa assunta da Patti Hansen, moglie del chitarrista Keith Richards, nella foto scattata a Parigi nel 1977, prende spunto da una Madonna vista da Newton in una piazza di Poggibonsi; nel 1974 Andy Warhol viene fotografato nella stessa posa di una statua funeraria che aveva colpito l’attenzione del fotografo. Per Newton, tutto diventa fonte di ispirazione.
Gioca con i codici e rimescola i generi, dalla pubblicità alla storia dell’arte. Penso, ad esempio, alla fotografia del 1981 Autoritratto con la moglie e le modelle, che sembra rimettere in scena la stessa dialettica individuata da Michel Foucault in Las Meninas di Diego Velázquez. La fotografia in questione, grazie a un abile gioco di specchi, confonde i punti di vista e le prospettive, mettendo in risalto chi è in scena, ma anche chi, come la moglie Alice Springs (pseudonimo di June Newton), si trova fuori dal set. La presenza di Alice è fortemente voluta e sottolinea il rapporto professionale e personale tra marito e moglie. E penso anche a Yellow Press, un libro che trae ispirazione da fotografie di scene del crimine e fatti di cronaca nera. Nella pubblicazione, Newton dichiara di avere una vera e propria ossessione nei confronti di questo genere fotografico, cifra distintiva di riviste popolari in Italia, in Francia e nel Regno Unito, quali «Cronaca Vera», «Paris Match» e «True Detective». L’autore ritaglia e conserva nei suoi diari le immagini che maggiormente lo colpiscono e, al momento opportuno, le utilizza come bozza per le sue produzioni. Newton non è stato solo un fotografo di moda: è stato un visionario, un genio capace di leggere la società fin nelle sue pieghe più nascoste. Con la sua fotografia ha dato forma a desideri, fantasie e perversioni, senza per questo rimanere invischiato in una volgarità grossolana e fine a sé stessa.
Rivoluzione, altro che provocazione: oltre al nudo c’è di più.
Denis Curti
Curatore della mostra
Testo tratto dal volume di Denis Curti, Capire la fotografia contemporanea. Guida pratica all’arte del futuro, Marsilio Editori, 2020
Didascalie:
1.
Helmut Newton
Autoritratto. Monte Carlo, 1993
Self-portrait. Monte Carlo, 1993
© Helmut Newton Foundation
2.
Helmut Newton
Amica. Milano, 1982
Amica. Milano, 1982
© Helmut Newton Foundation
3.
Helmut Newton
Elsa Peretti vestita da coniglio. New York, 1975
Elsa Peretti as a Bunny. New York, 1975
© Helmut Newton Foundation
4.
Helmut Newton
Rue Aubriot, Yves Saint Laurent, Vogue Francia. Parigi, 1975
Rue Aubriot, Yves Saint Laurent, French Vogue. Paris, 1975
© Helmut Newton Foundation
5.
Helmut Newton
Vogue Italia. Como, 1996
Italian Vogue. Como, 1996
© Helmut Newton Foundation
6.
Helmut Newton
Autoritratto nello studio di Yva. Berlino, 1936
Self-portrait at Yva's studio. Berlin, 1936
© Helmut Newton Foundation
7.
Helmut Newton
Jerry Hall, Vogue America. Parigi, 1974
Jerry Hall, American Vogue. Paris, 1974
© Helmut Newton Foundation