dall'08.11.2024 al 30.11.2024
KromArt Gallery / CsfAdams
La baraccopoli di Borgo Mezzanone è diventato il ghetto più grande d’Europa, dopo lo smantellamento della “Jungle” di Calais. Situata tra Foggia e Manfredonia, è sorta spontaneamente lungo la pista di atterraggio dell’aeroporto militare dismesso usato dagli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, sfacciatamente di fronte al Centro di Accoglienza ufficiale gestito dalla Prefettura.
“La Pista” ha sempre accolto migranti; fin dal 1991, quando arrivarono in Puglia 20.000 albanesi a bordo della nave Vlora, molti dei quali furono alloggiati in decine di prefabbricati che costituiscono oggi il “centro storico” del Ghetto di Borgo Mezzanone.
Attualmente, l’insediamento ospita con continuità circa 1.500 stranieri di diversa nazionalità, principalmente uomini provenienti dalla regione subsahariana. Nella stagione della raccolta del pomodoro, però, questo numero si triplica, rendendo allucinanti le condizioni di vita all’interno di una vera città fantasma – con tanto di minimarket, ristoranti, parrucchieri, anche una moschea e una chiesa pentecostale – ma sprovvista di servizi igienici e acqua potabile. Durante il giorno, i bisogni fisiologici si fanno nei campi; di notte, nella propria baracca, in un secchio. Per farsi la doccia – sempre all’aperto e in strutture improvvisate – bisogna pagare il fratello che ti ha scaldato l’acqua immergendo un ferro da stiro in una bacinella. Discariche a cielo aperto di materiali inerti e altamente inquinanti tracciano i confini del ghetto e ovunque gli allacci abusivi alla rete elettrica rappresentano un rischio costante di incendi, che a volte si verificano anche per cause dolose. La comunità, infatti, gestisce in autonomia i suoi conflitti interni, spesso mossi da tensioni tra i diversi gruppi etnici che abitano porzioni ben definite della baraccopoli.
I braccianti stagionali chiamano questo posto “Messico”, per l’atmosfera di impunità e tensione che si respira. La Puglia, infatti, è la regione nella quale convivono i principali sistemi criminali. E il Ghetto di Borgo Mezzanone si trova, sia logisticamente che operativamente, al centro di molti traffici.
A gestire il caporalato, il traffico di droga, la ricettazione e la prostituzione sono esponenti dei principali culti della Mafia Nigeriana: i Black Axe (basco nero), Supreme Eiye Confraternity o Airlord (basco blu), Vikings (basco rosso), Aroo Baga (basco rosso), Maphite (basco verde e divisa militaresca).
Tutte le organizzazioni malavitose straniere che operano sul territorio italiano, però, lo fanno con l’autorizzazione delle mafie locali, che appaltano alcune fette di mercato sulle quali, comunque, continuano a guadagnare: come il caporalato. In provincia di Foggia, infatti, si coltiva più del 40% del pomodoro prodotto in Italia.
Il bracciante stagionale viene dunque risucchiato in un loop infernale, nel quale è sfruttato sia dal capo-nero -l’intermediario locale tra la mano d’opera e il caporale – sia dal datore di lavoro finale, quasi sempre italiano. Le vessazioni, la fatica e le condizioni estreme di vita spingono gli abitanti del ghetto ad assumere sostanze stupefacenti,
che poi pian piano li fanno scivolare nella dipendenza e, spesso, anche nella follia. Sono davvero tanti gli psicotici che vivono a Borgo Mezzanone, senza alcuna assistenza.
Uno dei farmaci più usati è il Tramadol: un oppioide sintetico che i braccianti utilizzano per alleviare la fatica delle durissime giornate di lavoro nei campi. Triturano le pastiglie e conservano la polvere in piccoli cartocci, per sniffarla all’occorrenza. È molto diffusa anche la ampicillina, le benzodiazepine come Rivotril o gli antidepressivi come Anafranil.
Molti di questi farmaci vengono trafficati dalle madame nigeriane, insieme a sostanze stupefacenti più comuni come MDMA, cocaina, hashish e marijuana.
In nome di un’emergenza che assomiglia molto a uno stato di fatto, negli anni si sono succeduti numerosi – e costosi! – interventi da parte delle amministrazioni nazionali e locali per superare questa situazione, ponendo in essere strategie tampone che sembrano soltanto voler prolungare sine die una condizione di illegalità e precarietà diffusa.
Bio
Alessandro Zenti è un giornalista e fotografo specializzato in reportage investigativi, che si è distinto per il suo impegno nel raccontare storie di emarginazione e degrado sociale. Attraverso il suo lavoro, Zenti ha portato alla luce situazioni di grande impatto sociale, focalizzandosi in particolare sulle condizioni dei migranti coinvolti nel settore agricolo italiano, dove ha documentato fenomeni di sfruttamento lavorativo e abuso di sostanze stupefacenti. Il suo interesse per le dinamiche criminali lo ha portato a investigare anche sulla presenza della mafia nigeriana in Italia, svelando reti di sfruttamento della prostituzione e traffico di stupefacenti e farmaci.
Dal 2015, collabora regolarmente con la trasmissione televisiva italiana Striscia la Notizia, dove i suoi servizi sono andati in onda numerose volte, contribuendo a sensibilizzare il pubblico su temi difficili e spesso ignorati. Parallelamente, ha collaborato con varie testate giornalistiche di rilievo come Internazionale, Il Fatto Quotidiano, Radici-Press.net e Laredazione.net, ampliando il suo raggio d’azione nel mondo dell’informazione.
Oltre al contesto nazionale, Alessandro Zenti ha un’importante esperienza internazionale. Nel 2012, ha partecipato alla missione NATO Joint Enterprise in Kosovo, dove ha documentato le attività militari come giornalista embedded, fornendo un raro sguardo sulle operazioni in corso. Successivamente, nel 2013, ha seguito i progetti di alfabetizzazione e sviluppo agricolo nella regione di Tadla-Azilal, in Marocco, collaborando con CEFA Onlus.
La sua formazione include una specializzazione in Open Source Intelligence e Social Media Intelligence, che gli ha fornito strumenti avanzati per l’analisi dei dati e il giornalismo investigativo. Tra le sue competenze tecniche figurano l’uso di telecamere nascoste, editing fotografico e video, insieme a una solida esperienza nella gestione dei rischi per giornalisti che operano in contesti urbani difficili e zone di conflitto.
Con una carriera dedicata alla denuncia delle ingiustizie e alla documentazione delle realtà più nascoste, Alessandro Zenti si distingue come un professionista capace di utilizzare la fotografia e il giornalismo per dare voce a chi spesso non ne ha, portando l’attenzione del pubblico su problematiche sociali di grande rilevanza e complessità.