La seconda volta di düsseldorf photo+

Nella vivace città tedesca, complice il ruolo fondamentale giocato dalla celebre Scuola, la biennale fotografica e dei media visivo-sonori riflette su possibili strade da perseguire per salvare il mondo dalla guerra

«Novembre» (2004) di Hito Steyerl, Courtesy Hito Steyerl, Andrew Kreps Gallery, New York and Esther Schipper, Berlin ©️ Hito Steyerl, VG Bild-Kunst, Bonn, 2022.
Francesca Petretto |  | Düsseldorf

In realtà non si tratta di un’assoluta novità, poiché questa è già la seconda «Biennale for Visual and Sonic Media», alias «düsseldorf photo+», dopo il lancio del 2020, ma è vero che la metropoli sul Reno, oltre che del Land Nordrhein-Westfalen si è da poco riscoperta capitale della fotografia internazionale grazie al fondamentale ruolo giocato dalla sua Scuola di Fotografia, assurta a simbolo della produzione artistica in città, la più innovativa e variegata possibile, nonché eccellenza della disciplina a livello mondiale.

Düsseldorf photo+ è un’iniziativa nata sotto l’impulso della scena artistica autoctona della grande città renana convinta che l’arte fotografica, e/o facente uso di media visivi e sonori, possa aiutare, servendosi delle nuove conquiste del digitale e con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, a rendere i cambiamenti mediatico-sociali più avvicinabili da parte di un dibattito critico sulla loro dimensione estetica, politica e socio-culturale. La Biennale è stata realizzata quest’anno con il generoso sostegno dell’Ufficio Culturale della Capitale Düsseldorf mentre la direzione artistica è stata curata da Rupert Pfab, Thomas W. Rieger e Pola Sieverding.

Con frequenti incursioni nel passato, in mostre antologiche di prestigiosi nomi della disciplina, la rassegna si è riscoperta anche molto attuale in questi ultimi, terribili tre mesi di guerra alle porte dell’Europa: la prima, più iconica delle mostre che ospita, «Think We Must» (aperta fino al 19 giugno all’Akademie-Galerie – Die Neue Sammlung) cita alla lettera una famosa frase di Virginia Woolf in risposta a chi le chiese, alla vigilia della II mondiale, come si possa prevenire e/o evitare una guerra. Nel 1938 la scrittrice britannica, nel suo celeberrimo saggio Le tre ghinee, fu la prima a parlare apertamente di antimilitarismo femminista opposto all’urgenza tutta maschile, «fascista e patriarcale», di muovere guerra e di usare le armi.
«Nonkululeko» (2003) di Nontsikelelo “Lolo” Veleko. Credit © Nontsikelelo “Lolo” Veleko. Courtesy Nontsikelelo “Lolo” Veleko, The Walther Collection, Neu-Ulm New York, Goodman Gallery, Johannesburg.
Se Woolf affermava che «pensare dobbiamo» in modo differente, il team curatoriale della rassegna ha aggiunto che anche immaginare e dire altrimenti, «farlo in molte lingue e dalle prospettive più diverse» può salvare il mondo dalla brutalità e dalla violenza. Esponendo opere attuali e più datate di artiste/i quali Natalie Czech, Mischa Leinkauf, Dana Levy, Frida Orupabo, Walid Raad, Hito Steyerl e David Wojnarowicz, la prima delle 50 mostre estende la risposta di Virginia Woolf al mondo delle immagini, domandando a sua volta: come possiamo pensare per immagini? O forse dovremmo dire immaginare per immagini? Come possiamo emanciparle dalla narrazione storica e dunque immaginare cosa possono diventare?

Utilizzando strategie di narrazione ispirate al “what if” (e se …?) e sensibili alle nozioni di fatto e finzione, «Think We Must» cerca di destabilizzare il modo in cui vediamo le strutture di potere che definiscono il corso della storia e si propone come punto di partenza per presentare molte altre, differenti posizioni di artiste/i di tutto il mondo: si spazia dalle opere storiche di August Sander, Bernd e Hilla Becher nell’Archivio d’arte di Kaiserswerth ai ritratti storici di donne di Man Ray, passando per i lavori dell’artista francese Laure Prouvost e per l’attesa personale di Matthias Schaller, fino ad arrivare alla più giovane Talia Chetrit o al rapporto storico settima-ottava arte raccontato dagli scatti di Angelo Novi, fotografo di scena in molti film socio-critici di Pier Paolo Pasolini e di altri grandi come Bernardo Bertolucci o Sergio Leone.

Inaugurata il 13 maggio scorso, anche se alcune delle mostre in cartellone avevano già aperto nei mesi antecedenti a quella data, la Biennale chiude ufficialmente il proprio programma di eventi il 19 giugno, con qualche eccezionale proroga fino a fine di agosto.

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